Ohibò, come mai solo un titolo senza foto, spiega e ricetta? Devo rimediare… almeno con uno scatto! Ora ci provo…
Ohibò, come mai solo un titolo senza foto, spiega e ricetta? Devo rimediare… almeno con uno scatto! Ora ci provo…
Ciao, in questi giorni ho terminato la mia scorta di papaia fermentata e mi sono resa conto di non avervi mai mostrato come la preparo. Innanzitutto procuratevi della papaia, la più verde che trovate e qualche vaso di vetro pulito (non è necessario sterilizzarlo prima, ci penseranno i batteri buoni a far fuori ogni patogeno!). Poi preparate una salamoia mescolando 1 litro d’acqua bollita con 50 g di sale marino non iodato. Per completare la linea, aggiungete delle spezie a piacere. Io avevo della cannella a bastoncino e dei semi di finocchio. Tagliate a metà la frutta, privatela dei semi e della buccia e tagliatela a fette. Distribuite le fette di papaia nei vasi, unite le spezie e versate infine la salamoia fino a coprire la frutta. Mette una retina da conserva e chiudete. Lasciate fermentare per almeno 2 settimane, ricordando di aprire e chiudere rapidamente il coperchio di ogni vaso per far uscire i gas della fermentazione.
Il sapore della papaia fermentata è dolce-salato. Il frutto fermentato è un ottimo digestivo e ha proprietà antiossidanti. La salamoia avanzata è tonificante. La si può bere o conservare per altre preparazioni. Io l’ho usata per farmi del tofu fermentato. Un’altra volta vi darò la ricetta (attenzione, fatene abbastanza perché tende a finire subito: è troppo buono!).
Ricordate la campagna pro-fermento di qualche post fa? Il famoso workshop sulla fermentazione si è concluso con l’assaggio del kefir, un alimento semi liquido derivato dalla digestione del latte fresco da parte di fermenti lattici e lieviti. Rispetto allo yogurt, composto da soli lactobacilli, è molto più complesso. Pare essere un toccasana perché protegge l’intestino da brutte malattie e infiammazioni, è ricco di vitamina K2 (ecco a cosa serve:http://www.e-coop.it/documents/10180/67288/DossiervitaminaK2.pdf/96eae90f-1111-4ed1-a706-1228b33edf55 ), fa digerire il latte a chi non lo tollera, aiuta a combattere i batteri cattivi e i funghi e fa pure massaggi al sistema immunitario. Insomma, una bomba! Io che già adoro lo yogurt e me ne faccio fuori circa mezzo chilo al dì, mi ci sono buttata a capofitto!
All’apparenza sembra latte o yogurt. Scuotendo la bottiglia di vetro però si nota subito che la consistenza è diversa, più gelatinosa (non è bello il termine ma rende l’idea). Viola, l’amica biologa, lo stappa e, nel silenzio generale, si ode un deciso fizzz! La curiosità aumenta. L’odore ricorda il formaggio fresco in fiocchi.
Il contenuto è rovesciato in una ciotola e passato attraverso la mano di Viola che sapientemente recupera gli agenti fermentatori (se si dovessero ingerire non ci sono problemi, li digeriremmo tranquillamente!). Si tratta di piccoli globuli tondeggianti grossi quanto una nocciolina che ricordano tante cimette di cavolfiore. Sono piccoli, alcuni agglomerati tra loro, sempre affamati di latte fresco! Non si sa come si siano formati questi globuli e non è stato possibile produrli in laboratorio. Il kefir che si trova in commercio non è paragonabile a quello casalingo, è un’altra cosa, buona ma non così valida.
I globuli sono messi in un vaso, la crema di kefir, il prodotto bevibile, è distribuito tra gli astanti. Un successo! Sa di latte, lievemente acido e frizzante. L’ho bevuto in purezza ma si può addolcire con del miele e aromatizzare con qualche olio essenziale.
Ecco il video di Viola:
Quel giorno non è stato possibile portare a casa dei globuli ma a volte il destino è buffo. Come avete visto nel post precedente, qualche giorno fa sono stata alla cena dei Jeunes Restaurateurs. Durante la visita al palazzo cinquecentesco dei Berlucchi, ho conosciuto Maria, una giovane moglie di un membro dell’Associazione. Tra una fetta di salame e un bicchiere di vino, parlando di fermentazione, ha confessato di non riuscire ad affrontare la giornata senza un buon bicchiere di Kefir. La sua passione è tale che in viaggio si porta un vaso con il latte e parte dei suoi fermenti. Incredibile, vero!? Mi ha anche offerto un cucchiaino di fermenti per poter iniziare la mia personale produzione. Ovvio che ho subito accettato.
Il giorno dopo me ne sono tornata a casa tutta fiera del mio trofeo: un bicchiere di plastica con dentro i piccoli gioiellini vibranti di vita. Per fortuna non ero troppo distante da casa. Appena arrivata li ho coperti di latte e da allora, ogni mattina, ho il mio mezzo litro di kefir da dividere con Daniele. Ora però ho un’urgenza da risolvere. I cari globuli si sono trovati così bene che han deciso di riprodursi. Quello che era un cucchiaino, è divenuto presto un cucchiaio! Se non distribuisco i figlioli, i nipoti e bisnipoti, tra un mese dovrò affittare una latteria per dar loro da mangiare!
Chiunque fosse interessato a voler diventare genitore adottivo di kefir, può scrivere a m.vanni@tin.it
Per fortuna però si possono gestire facilmente. Al mattino verso il mio kefir su un colino e lo faccio scivolare in un contenitore sottostante aiutandomi con una spatolina o un cucchiaino. Alla fine rimangono sul fondo i mitici globuli. Non faccio altro che rimetterli nel vaso, coprirli di latte fresco, chiudere e lasciarli lavorare a temperatura ambiente. L’unica cosa da ricordare è di agitare e capovolgere ogni tanto il vaso (ormai lo faccio in automatico) perché i globuli tendono a galleggiare. Si dovrebbe anche aprire la capsula per far uscire il gas. Inizialmente non serve ma appena la famiglia cresce, meglio di si.
Si può usare il latte vaccino, intero o parzialmente scremato, ma vanno bene anche quello di capra o di pecora. Meglio non mescolarli mai.
Se si dovesse andare via per una settimana, basta inserire i globuli, immersi nel latte, in frigorifero (il freddo rallenta il processo). Se si dovesse partire per una spedizione nel Borneo, dal mese insù, basta conservare il vasetto con i globuli e il latte nel freezer. I poveri globuli vanno in stasi in attesa di tempi migliori. Al risveglio ci vorrà qualche giorno prima che riprendano a fermentare bene ma se la cavano.
Buon kefir a tutti!
Sabato sono andata al mercato di via Marcello. Mancavo da un po’, più che altro è stata una questione di pochezza di tempo. Ho speso trenta euro per portare a casa sette chili di arance, uno di mandaranci, due grosse e croccanti puntarelle, cinque carciofi da mangiare crudi, un mazzo di carote biologiche, si quelle col ciuffo!, un chilo di San Marzano, tre papaie molto mature e due avocado, un chilo di coste e per finire una grassa aringa dorata affumicata.
Le aringhe affumicate sono la mia passione… una delle tante a dire il vero. Ma l’aringa… mia mamma la diliscava, la spellava, la tagliava a tocchetti, la metteva sott’olio e la portava in tavola con fette di pane tostato. Io l’ho messa a bagno nel latte per mezz’ora e l’ho mangiata a pranzo con Daniele.
Aprendo la pancia del pesce ho avuto la fortuna di trovare una bottarga di uova di aringa. Due belle baffe ambrate e profumate. Le ho avvolte nella pellicola e le ho messe subito in frigo: avrebbero costituito la base per due golosi pranzetti i giorni seguenti. Il primo pranzetto è venuto fuori come una sorta di taramasalata a base di riso e semi. Il piatto si può chiamare anche “riso profumato alla carota con bottarga di aringa”.
Ho privato una delle puntarelle delle foglie più lunghe, la cicoria per capirci, e l’ho lavata in acqua e bicarbonato.
Ho anche preso la parte verde delle carote e due carote che ho sciacquato, spazzolato e infine gettato nel lavello colmo di acqua e bicarbonato. A questo punto ho portato al bollore una pentola d’acqua, senza sale, mi raccomando! Ho sbollentato le puntarelle, quindi le ho recuperate e messe da parte. Ho gettato nell’acqua al bollore 160 g di riso dei Costardi Bros, un vialone nano assieme alle foglie delle carote legate con spago alimentare per facilitarne il recupero. La parte verde delle carote è composta da steli croccanti e fibrosi. Hanno un buon sapore dolce di carota e sono ottimi per insaporire brodi, minestre e risi, si procede come per i gambi del prezzemolo.
Alla fine ho scolato tutto, gettato via i ciuffi verdi delle carote (ahimè davvero troppo fibrosi per gli umani!) e trasferito il riso in una ciotola. Ho sbriciolato sopra una baffa di bottarga di aringa e condito il tutto con 1 cucchiaio di olio e 1 misurino, circa 15 grammi, di mélange di semi di sesamo e di lino. Le cicorie le ho condite a parte con 1 cucchiaio di olio e 1 pizzicone di gomasio alle erbe. Come dessert, una papaia…
Il secondo pranzetto è stato a base di paccheri, pomodori freschi e uova di aringa affumicate e salate, tagliate a listarelle e mescolate alla pasta direttamente in pentola, con un cucchiaio d’olio extravergine.
Rosita, una cara amica, mi ha regalato qualche spicchio di aglio nero.
Eravamo a casa di Allan, pronte ad affrontare gli ultimi scatti di un bel progetto editoriale (i più curiosi possono anche dare una sbirciatina), quando, in un momento di pausa, mi dice perentoria:”Chiudi gli occhi e apri la bocca”. Obbedisco, voi cosa avreste fatto al posto mio?
Alt, premessa, Rosita è un’ottima pasticciera e adora condividere con tutti i dolci frutti dei suoi esperimenti culinari. Sognavo di gustare una nuova gelatina, o una pralina dal cuore morbido, o un biscottino glassato. E invece…
Torniamo alla scena. Vivetela con me, per favore. Vedete, ci sono io che strizzo gli occhi, anzi me li copro proprio con il palmo della mano, e poi apro il forno (la boccuccia). A stento si percepiscono le dita dell’amica che, come un cardellino, depositano qualcosa sulla lingua. A vederlo da fuori ricorda un gesto sacro.
La consistenza è quella di un toffee. Mastico e sbang!, spalanco gli occhi. “MA COS… BUONO!”.
“Aglio, aglio nero!”, ride. “Non è meraviglioso, Manu?”.
Prima di andare me ne dona qualche spicchio. Cosa potevo farne se non arricchire qualche vaso di fermentati con un dolce sentore di melassa? Ecco qua cosa ho fatto:
CAVOLO MIX CON AGLIO NERO E SPEZIE (non è un mix del cavolo!)
Ingredienti per un vaso da 1 kg circa:
Lavate i cavoli sotto acqua corrente, tagliateli a metà e sciacquate ancora molto bene. Sgocciolateli e tagliateli a listarelle. Gettate il tutto in una ciotola capace. Prendete 1 pugno di sale (circa 40 g), distribuitelo sul cavolo e iniziate a mescolare. Mescolate e mescolate fino a quando non le listarelle non saranno appassite e sul fondo si sarà raccolto del liquido. I cavoli saranno pronti per l’invaso quando perderanno abbondante succo (o salamoia) se strizzati tra le mani. Ora aggiungete la senape, se volete metterla e lo spicchio d’aglio. Potete lasciarlo intero, così che, quando il vaso sarà pronto, finisca nel piatto di un fortunello, oppure tagliarlo a fettine, se vi sentite democratici.
A questo punto trasferite il tutto in un vaso ben pulito e asciutto. Inserite poche verdure alla volta e schiacciate con un pestello o con un pugno. Dovete premere bene ogni strato per evitare che rimanga dell’aria e per far si che il cavolo sia sempre coperto dalla sua salamoia. Lasciate due dita di spazio nella parte alta del vaso, inserite una retina per conserve (serve a tenere ben premuto il cavolo sotto la salamoia) e chiudete bene. Chi non fosse dotato di gorgogliatore (il tubo a “S” che potete vedere in foto), può gestire la fermentazione aprendo e chiudendo rapidamente il coperchio del vaso una o due volte al giorno (in estate anche tre volte) per i primi 5 giorni, oppure può inserire come chiusura un guanto di gomma (si veda il post precedente) al posto del coperchio. Lasciate maturare per almeno 2 settimane, poi gustate. 😉